LA LETTERA DI ELENA. Non sapevo con che parole chiamare l’aiuto di cui avevo bisogno.

TROPPO fragile, emotiva, sempre in lacrime, scontrosa, sensibile, permalosa…

Quanti appellativi per descrivermi e, penso, quanto tempo passato a chiedersi che problema ci fosse, a come aiutarmi… Ed io, che di tutti questi aggettivi non sapevo che farmene, volevo solo smettere di piangere, smettere di soffrire così tanto per ogni piccolo dispiacere.

L’IMPOSSIBILITÀ DI CHIEDERE AIUTO in un mondo nel quale se non si sta veramente male, cioè fisicamente male, allora significa che “l’aiuto non ti serve“, “il medico non ti serve“! È stato questo che mi ha costretta ad arrivare a stare effettivamente male. A manifestare sintomi fisici, a riversare il malessere sul corpo e a compiere gesti che mi hanno messa in pericolo.

Ora capisco di aver fatto tutto questo, inconsciamente, per legittimarmi alla richiesta di aiuto. Ed infatti tanto ero pronta a farmi aiutare, non aspettavo altro, quanto allo stesso tempo NON SAPEVO CON CHE PAROLE CHIAMARE L’AIUTO CHE CERCAVO, perché non era un aiuto “medico”, non era un “prete” ciò di cui avevo bisogno, era qualcosa di sconosciuto e di “tabù”!

E le persone intorno a me hanno saputo vincere la paura di ciò di cui avevo bisogno solo nel momento in cui hanno capito quanto stessi soffrendo.

Ecco io vorrei tanto che ciò non fosse necessario, per nessuno, nell’epoca in cui viviamo! È un desiderio, è una preghiera. Vorrei che non occorresse aspettare tanto per decidere che è il caso di rivolgersi a qualcuno che ci possa aiutare, come fa lo psicoterapeuta, con le parole. Parole che curano ferite profondissime, di cui non siamo nemmeno del tutto consapevoli.

Ci scherzo su, ma in fondo lo credo veramente: la psicoterapia ha liberato i miei superpoteri! Sorrido pensando ad un supereroe alle prime armi che rischia di ferirsi utilizzando la propria super-forza o scoprendo di saper volare.

Quelle fragilità, l’estrema sensibilità che da bambina mi ha impedito di vivere serenamente avevano bisogno di essere capite, dosate, di avere il giusto contenitore perché non rischiassero di ferirmi.

Mi guardo indietro, mi guardo dentro e provo un po’ di compassione per quella “piccola me” spaesata; la ringrazio di aver custodito quelle preziose doti che mi ha trasmesso, di non averle sotterrate solo perché la facevano soffrire. Oggi le sto mettendo al servizio degli altri, ma soprattutto di me stessa.

Elena

LA LETTERA DI ANNA. Ero confusa, ma adesso ho imparato come conoscermi.

Dall’ultimo incontro con la psicologa ormai è passato qualche anno e potrebbe non essere l’ultimo nella mia vita, anzi, ora che so cosa aspettarmi e conoscendone i benefici, sono sicura: non sarà l’ultimo.

Forse è ancora poco riconosciuto o è un discorso tabù, ma penso sia importante partire dal fatto che non bisogna vergognarsi d’andare dallo psicologo. Ci sono vari disturbi, più o meno gravi e per fortuna io ho avuto un malanno temporaneo, dovuto a diversi aspetti della mia vita in quel periodo. Ma tutto questo lo posso dire solo ora, alla fine del percorso, ora che sono PIÙ FORTE E CONSAPEVOLE. Prima, all’inizio di tutto, c’era solo una cosa: TANTA CONFUSIONE.

Apparentemente non avevo niente: avevo un bel lavoro, un bel ragazzo, una bella famiglia, amici, sport… una vita cosiddetta “normale”, ma in realtà dentro di me sentivo che c’era qualcosa che non andava, che non stavo bene, ma senza capire perché, cosa mi stesse succedendo in modo silenzioso, nascosto.

Non c’è stato un momento specifico in cui abbia deciso di iniziare un percorso da una psicologa, ma è stato un susseguirsi di piccoli passi, perché l’unica cosa che sapevo era di non star bene. Confrontandomi anche con le persone a me più vicine, ricevevo risposte varie e contrastanti, incrementando così solo la mia confusione.

Un giorno con mia madre esce l’idea di una psicologa… Pur avendo sempre riconosciuto il valore della psicologia, non avrei mai pensato di averne bisogno. Alla fine, ho preso un primo appuntamento pensando che comunque non ci avrei perso niente, infatti l’unico obiettivo che avevo era quello di sentire un punto di vista di un esterno che non mi conosceva, che avrebbe dato la sua opinione senza prendere le parti, ma rimanendo oggettivo e professionale. Dopo qualche seduta, mi sono accorta che alla fine la dottoressa non mi dava una sua opinione, ma bensì RIUSCIVA A TIRAR FUORI LA MIA, la vocina dentro di me. 

Il mio percorso è durato circa un anno e mezzo, composto da incontri fatti di semplici chiacchierate di un’ora circa, ogni 15-20 giorni. La dottoressa non mi dava dei compiti, ma mi diceva solo di riflettere sui temi affrontati durante gli incontri per capire meglio le mie emozioni a riguardo. Mi ha consigliato anche un paio di letture, che hanno conquistato per sempre un posticino nella mia libreria PER RICORDARMI CHI ERO, COSA HO IMPARATO DI ME STESSA E QUANTO ANCORA POSSA IMPARARE…

Per questo penso sia utile andare da uno psicologo: IMPARARE A CONOSCERSI; e per questo penso sia utile a tutti, indipendentemente dal sesso, dall’età, dallo stile di vita.

Ormai non sento più la mia dottoressa, ma gliene sarò per sempre grata.

Anna

LA LETTERA DI PAOLA. Non è necessario che ci sia un problema importante o grave per rivolgersi a uno psicologo!

Sono una ragazza di 24 anni e da circa un anno a questa parte ho cominciato un percorso psicoterapeutico e voglio condividere una mia piccola riflessione sull’argomento. Ad oggi, andare dallo psicologo è considerato un taboo ancora per molte persone. C’è questo strano ed erroneo pensiero comune che etichetta chi si rivolge ad un professionista del genere come “depresso” o “malato di mente”.

MA COME SI FA A CAPIRE CHE CI SI PUÒ RIVOLGERE AD UNO PSICOLOGO?

Ogni situazione che viviamo suscita in noi determinate emozioni e reazioni, alcune più fastidiose delle altre. Oppure esistono particolari situazioni in cui avvertiamo dei blocchi, paure o pensieri ricorrenti che ci limitano o ci fanno crollare emotivamente. Spesso non consociamo l’origine di queste sensazioni e talvolta non siamo in grado di comprenderle e gestirle pienamente. O ancora, capita che alle volte non si abbiano risposte chiare ai dubbi o alle domande che, nel corso della vita, è naturale avere e porsi. Ecco, anche in questi casi lo psicologo può entrare in gioco.

CHI È E CHE COSA FA UNO PSICOLOGO?

È una figura professionale che è lì per te, per ascoltarti, farti parlare e dialogare con te. Un incontro con lo psicologo è da considerarsi un confronto, una discussione conoscitiva e costruttiva che si trasforma in un viaggio introspettivo. Personalmente lo considero una risorsa che può risultare utile e funzionale a chiunque e in qualunque momento di vita, ed i motivi sono svariati. Innanzitutto riesce a darti un punto di vista estraneo, disinteressato e privo di pre-giudizi. Ti aiuta a prendere le distanze dai problemi e ad affrontarli da una prospettiva propositiva. Pone le giuste domande e suscita riflessioni che da soli magari non emergono e dunque assieme si cerca di approfondire e comprendere al meglio i propri pensieri, le proprie paure, reazioni ed emozioni. Così facendo ci è permesso di conoscere meglio i nostri diversi aspetti e accettare quelli che ci piacciono di meno. Invita all’uscita dalla propria zona di comfort anche attraverso approcci pratici e, di conseguenza, si cresce come individuo.

Insomma, possiamo riassumere così: NON È NECESSARIO CHE CI SIA UN PROBLEMA IMPORTANTE PER RIVOLGERSI AD UNO PSICOLOGO PERCHÉ LO PSICOLOGO TI ACCOMPAGNA IN UN PERCORSO DI CONOSCENZA E CRESCITA PERSONALE. Il suo obiettivo non è darti una soluzione, ma è quello di fornire gli strumenti per rafforzare la propria salute mentale e dunque riuscire a trovare da sé la soluzione, a gestire e controllare situazioni di stress, nonché permette di migliorare la propria persona.

Paola

LA LETTERA DI MARTINA. Ecco cosa significa andare dallo psicologo.

Abbiamo una fortuna. Una sola (tra altre forse, spero per voi) in questo periodo storico strano: l’informazione.
Si parla sempre di più di malattie mentali, di depressione, ansia, disagi e disturbi. Si sensibilizza sempre più una popolazione composta da individui che si scontrano con queste problematiche e non sanno spesso dare loro un nome.
E piano piano, piano eh mi raccomando, un poco più si va verso il “Oh che figo, vai dallo psicologo!” rispetto al “Oddio, sei matta allora?”, che mi ha detto mio padre quando gliel’ho detto la prima volta.
La prima cosa da capire è: chi se ne frega di cosa ne pensano gli altri, il culo è il nostro no? E la mente anche.

Ecco, le malattie mentali sono come raffreddori. Da qualcosa derivano, e hanno una cura. Quindi? Quindi bisogna curarli. E se non lo fai? Beh, magari è leggero sto raffreddore, però un giretto dal medico lo dovresti fare comunque.
Io la penso così, siamo tutt* un poco rotti. Ed è proprio per questo che tutt*, ma proprio tutt* dovremmo andarci a fare un giretto dallo psicologo, o “amico psycho“, come lo chiamo io.
Fa bene al corpo, all’anima, ce ne sono tant* da cui provare.
La spesa non è mai troppo alta se usata con lo scopo di farsi del bene, sono professionali e delle personcine carine.

Non voglio più star male” è quello che ho capito alzandomi dopo l’ennesima notte insonne di due anni fa. Stanca, senza sonno, immersa in giornate uguali che prendevano spazio in anni uguali. Avevo il numero – dato da una coraggiosa amica – di quello che oggi è il mio psycho, ormai parte della mia vita. Ho preso il telefono e ho chiamato questo emerito sconosciuto, che mi ha fissato un appuntamento il giorno dopo facendomi qualche domanda base, alla quale non riuscivo a rispondere talmente erano forti i singhiozzi, piangevo. Perchè piangevo? Che ne so, tutto e niente.
Il mio percorso è iniziato il giorno dopo. Il professionista che avevo davanti mi diceva come prima cosa che non per forza dovevamo starci simpatici, che non per forza dovevo scegliere lui come medico per questa strana avventura. Ma beh, in questo caso ho avuto fortuna e l’ho scelto. Ho trovato subito la mia strada stranamente, ho fatto passi avanti enormi, e poi passi indietro ancora più grossi, e poi piccoli passi avanti. Perché alla fine è così, e noi esseri umani lineari lo siamo poco. Però se c’è una cosa che so è che non mi pentirò mai di quel giorno, di questa scelta, dei soldi spesi per salvarmi l’anima e la mente, delle ore da lui, nascondendolo ai miei genitori che sono cresciuti in una cultura diversa, che non vede al centro il benessere e la salute delle emozioni e che per fortuna inizia a non essere più quella di oggi.
Io se tornassi indietro, quest’uomo di sessant’anni, lo richiamerei piangendo e singhiozzando altre mille volte.

Quindi… qual è la tua scusa?

Martina